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Contesto Storico Italiano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • LA PRIMA GUERRA D'INDIPENDENZA (1848-49)

    Il 17 Marzo del 1848, scoppiò una rivolta a Venezia capeggiata da Daniele Manin e Niccolò Tommaseo che, liberati dal carcere politico in cui si trovavano, instaurarono la Repubblica di San Marco. A distanza di un giorno, scoppiò un'altra insurrezione, a Milano dove il popolo chiedeva riforme al governatore.
    L'esercito austriaco del maresciallo Radetzky si mosse contro gli insorti, che organizzarono un consiglio di guerra per dirigere l'insurrezione, erano le famose cinque giornate di Milano. Gli Austriaci vengono cacciati dalla città, e il maresciallo Radetszky è costretto a ritirarsi.
    Di seguito, insorgono anche i Ducati di Parma e Modena che assistono alla fuga dei loro sovrani. I moderati milanesi invitano Carlo Alberto di Savoia a sostenere l'insurrezione, ed il 23 marzo, il Piemonte dichiara guerra all'Austria, con l'appoggio dello Stato Pontificio e della Toscana.
    I Piemontesi conducono la guerra con successo e il 10 maggio Parma, Piacenza, Modena e Reggio Emilia chiedono l'annessione al Piemonte, di seguito vengono annessi, con un plebiscito, anche gli Stati sardi. A gennaio del '49 anche il Granduca di Toscana abbandona il suo dominio, e viene instaurato un governo provvisorio
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  • L'UNITA' D'ITALIA E LA SECONDA GUERRA D'INDIPENDENZA (1859-1861)

    Il decennio successivo alla prima guerra d'indipendenza, vide sul piano politico l'affermazione di due personaggi, che sono stati i principali fautori dell'unità italiana: Vittorio Emanuele II e Camillo Benso conte di Cavour.
    Cavour fu eletto deputato nel 1849, e tre anni dopo, in seguito alle dimissioni del ministro d'Azeglio, divenne presidente dei ministri.
    Nella politica interna Cavour promosse una serie di riforme per rendere il Piemonte lo Stato più moderno e più ricco d'Italia, uno Stato cioè, che fosse in grado di guidare il Risorgimento nazionale.
    In politica estera cercò di far ottenere al Piemonte l'alleanza di una grande potenza, cosicché non si verificasse nuovamente il fallimento della prima guerra d'indipendenza.
    La seconda guerra d'indipendenza scoppiò quando, il 29 aprile del 1859, gli Austriaci passarono il Ticino, puntando verso Torino. Questi vennero poi fermati sulle rive della Sesia, dove i Piemontesi avevano allargato le risaie, mentre l'esercito piemontese, congiuntosi con quello Francese di Napoleone III, giungeva alla riviera ligure.
    L'esercito franco-piemontese, sotto il comando di Napoleone III, adottò una tattica vincente: fingendo di ammassare le truppe sulle rive del Po, come aveva fatto Napoleone I nel 1706, egli faceva passare il Ticino al grosso delle milizie, che puntavano velocemente su Milano. Intanto, Vittorio Emanuele, per dissimulare il movimento, si scontrava con gli Austriaci a Palestro. Quando il generale austriaco Giulay, accortosi della manovra, tentò di fermare l'avanzata francese, venne sbaragliato a Magenta dal generale francese Mac Mahon. Tre giorni dopo Vittorio Emanuele II e Napoleone III entravano trionfanti a Milano, e gli Austriaci liberavano la Lombardia. Nei mesi successivi, la scarsa popolarità della guerra in Francia ed il pericolo di un intervento prussiano, aggiunti alle preoccupazioni di Napoleone III che l'Italia si avviasse verso l'unità, spingendosi così oltre i patti convenuti, indussero l'imperatore francese a porre termine alla guerra con il Convegno di Villafranca (11 luglio 1859). Napoleone III e l'imperatore austriaco Francesco Giuseppe stipularono l'armistizio. Cavour si dimise.

 

  • LA SPEDIZIONE DEI MILLE (1860)

Garibaldi che nel 1860 era a Genova, da tempo sognava di porre mano alla spedizione, prima però voleva essere ben sicuro di aver favorevole la popolazione. Vittorio Emanuele ufficialmente gli negò il suo aiuto, ma fece finta di ignorare una spedizione di volontari. Cavour, invece, era assolutamente contrario, sia perché temeva complicazioni internazionali, sia perché conosceva lo spirito repubblicano di Garibaldi e paventava un colpo di testa. L'eroe nizzardo raccolse intorno a sé, senza fatica, un migliaio di volontari (per questo furono chiamati "i Mille") di tutte le età. Visto che il governo piemontese non dava aiuti ufficiali, i garibaldini simularono un colpo di mano e si impossessarono, del porto di Genova, di due battelli a vapore della compagnia Ribattino: il Piemonte e il Lombardo, e li condussero fuori dal porto verso lo scoglio di Quarto, dove li aspettava Garibaldi.

 

  • SBARCO

Era il 6 Maggio 1860. La Società Nazionale aveva mandato armi e denari, ma non munizioni; dopo averle attese invano, i Mille salparono per Talamone e Orbetello, dove riuscirono con un po' di prepotenza a farsi dare le munizioni e qualche cannone dagli ufficiali piemontesi. Poi Garibaldi avviò il colonnello Zambianchi con sessanta uomini, verso lo Stato Pontificio, per far credere che fosse quello l'obiettivo della spedizione, mentre il generale con il grosso dei volontari proseguiva la rotta verso Marsala. Qui c'erano due navi inglesi ancorate a largo, e Garibaldi fece loro accostare il Piemonte e il Lombardo, ben sapendo che la flotta borbonica non avrebbe colpito gli Inglesi. In questo modo poté sbarcare tranquillamente a Marsala ed avviarsi a Salemi, dove giunse il 14 maggio ed assunse la dittatura dell'isola col motto "Italia e Vittorio Emanuele".L'avanzata verso l'interno della Sicilia fu abbastanza lenta per il debole contributo dato dai volontari siciliani. Inizialmente i borbonici non reagirono; il primo grave scontro si ebbe a Calatafimi, dove i garibaldini sconfissero le truppe di Francesco II, nonostante lo scarso equipaggiamento.La vittoria ebbe però un grande effetto sulla popolazione, che si scosse, e un folto gruppo di picciotti (cosi venivano chiamati gli insorti locali) si unì ai Mille. Per disorientare le truppe borboniche, Garibaldi organizzò una finta ritirata verso Corleone, strategia che gli facilitò l'entrata a Palermo. Intanto tacitamente favoriti da Cavour, ormai persuaso della bontà dell'impresa, arrivarono rinforzi da Genova. Il 20 giugno i garibaldini occuparono Milazzo, poi Messina: la Sicilia era liberata. Era il momento di porre piede sul continente: il 20 agosto Garibaldi attraversò lo stretto e avanzò con una certa facilità, mentre ufficialmente Vittorio Emanuele sconsigliava al generale l'avanzata, ma contemporaneamente lo incoraggiava in segreto. Francesco II, rinunciando alla difesa di Napoli, si rifugiò a Gaeta, sfidando anche il parere contrario della moglie Sofia di Bavier,a che avrebbe voluto tener testa ai garibaldini.

 

  • ENTRATA A NAPOLI

Il 7 settembre l'eroe dei due mondi entrava trionfalmente a Napoli. Era naturale, che a questo punto Garibaldi pensasse a Roma: avrebbe voluto proseguire l'avanzata, proclamare il Regno d'Italia dal Campidoglio ed evitare i plebisciti. Di parere molto diverso era Cavour: egli voleva l'espressione della volontà popolare per l'annessione, al fine di evitare un colpo di mano di Mazzini, e per permettere alle truppe regie di recarsi nel napoletano a completare la conquista.

 

  • INCONTRO DI TEANO
    Il primo ministro piemontese era certo che né l'Austria, occupata a curarsi le ferite della sconfitta del 59, né l'Inghilterra si sarebbero intromesse nelle questioni italiane; c'era solo l'eterno ostacolo rappresentato da Napoleone III, il quale temeva un attacco contro il papa. Cavour allora cercò di far capire all'Imperatore che, se non voleva vedere l'instaurazione della Repubblica mazziniana, bisognava permettere al Piemonte di fermare i garibaldini là dove erano. Napoleone si convinse e accantonò il timore di scontentare il partito clericale.
    I disordini scoppiati in alcune città dello Stato Pontificio dettero il pretesto alle truppe di Vittorio Emanuele, di varcare i confini e di occupare le Marche e l'Umbria. Intanto quanti erano rimasti dell'esercito borbonico, appoggiati dalla fortezza di Capua, tentavano l'ultima riscossa sulle rive del Volturno, ma dopo due giorni di battaglia ci fu la capitolazione. Garibaldi, amareggiato dall'intervento piemontese, che aveva tolto ai suoi volontari la gloria della conquista di Roma, si piegò davanti al proclama emanato dal re ad Ancona, al momento di assumere il comando dell'esercito. Firmò il decreto per indire il plebiscito, che si svolse nei giorni 21 e 22 ottobre, dando larga maggioranza di voti per l'annessione al Piemonte. Il 26 ottobre, Garibaldi e Vittorio Emanuele s'incontrarono vicino a Teano. Poi i due uomini si ritirarono per un colloquio delicato.
    Garibaldi doveva andarsene e voleva ottenere per le sue camicie rosse l'immissione nell'esercito regolare, con lo stesso grado ricoperto durante la campagna. Gli venne concesso, ma fu fatta una rigida selezione in base alle idee politiche, che essi professavano, e molti rimasero esclusi.
    Nella notte tra 1'8 e il 9 Novembre, Garibaldi si imbarcò su una nave inglese per ritornare a Caprera, dopo aver rifiutato le offerte del re: la nomina a generale d'armata, il collare dell'Annunziata, un titolo principesco, la dote per la figlia e un battello a vapore.

 

  • REGNO D'ITALIA DAL 1861 AL 1870

    Problemi economici e sociali
    L'unione del Paese era avvenuta così rapidamente da creare numerose difficoltà di governo. Si presentavano, infatti, gravi decisioni da prendere a causa della diversa situazione sociale, sanitaria ed economica che si era presentata tra le regioni. I problemi economici scaturivano dalla mancanza quasi totale di industrie nel Mezzogiorno, mentre ben diversa era la situazione al nord. Anche le vie di comunicazione erano arretrate, infatti funzionavano soltanto 1758 km di ferrovia, dei quali la metà nel Regno Sardo, ed il resto nella Valle Padana ed in Toscana.
    Difficile era il problema sanitario: colera e tifo si manifestavano soprattutto nel meridione, per mancanza di acquedotti e di igiene. L'istruzione pubblica era ben organizzata soltanto in Piemonte e in Lombardia, mentre circa l'80% della popolazione era analfabeta.
    Parte dei politici avrebbe voluto che ogni regione avesse un proprio ordinamento, ma per timore di perdere l'unità, il Paese fu diviso in province, a loro volta suddivise in comuni, con a capo un sindaco.

 

 

Tratto da:

http://www.italiadonna.it/public/sto01004.htm

 

 

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